ROTTE INVISIBILI
Una volta terminato il game nei Balcani occidentali dopo settimane o mesi di tentativi chi arriva a Trieste può seguire diverse strade. Attraversare tutto il nord Italia, dal Friuli alla Liguria, e provare a entrare in Francia da Ventimiglia. Fare lo stesso, e fermarsi più su, in una Val di Susa che è confine come terra di lotte. Oppure, e sempre di più, può decidere di proseguire il suo viaggio verso nord transitando da Como. Questo affermano i dati che abbiamo consultato, ma lo stesso fa fatica a emergere dai racconti dei volontari e degli operatori che lavorano sul campo, nelle strade, nei luoghi di accoglienza. Sembra che l’invisibilità del confine, così impressa nelle menti di chi abita questa città, si depositi come un mantello su chi cerca di attraversarlo. Abbiamo quindi deciso, con la serie Rotte invisibili, di andare alla ricerca di storie e testimonianze, per cercare di indagare a fondo le ragioni di questo apparente mistero.
Capitolo 1 – Il sonno dell’accoglienza genera invisibili
Nella città di Como non c’è corrispondenza tra i dati di chi prova a oltrepassare la frontiera con la Svizzera e la percezione dei flussi sul territorio. Si tratta soprattutto di afghani, che sembrano invisibili. Tra le tante motivazioni, ne emerge una: il progressivo smantellamento del sistema di accoglienza da parte delle istituzioni locali.
Fare un giro per il centro di Como e dintorni dopo una certa ora, soprattutto durante il suo lungo inverno, può essere straniante. Le saracinesche si abbassano, qualche locale rimane aperto fino a ore non troppo tarde. Le vie si svuotano di pedoni, ciclisti e automobilisti.
Sono i luoghi abbandonati e i sagrati di qualche chiesa gli unici vivi la notte. Si popolano lentamente di ultimi, provenienti da diverse parti del Sud globale. Per la grande maggioranza si tratta di persone che si trovano sul territorio da anni, note alle reti di associazioni che si occupano di marginalità sociale.
C’è però una grande fetta di transitanti che attraversano il territorio. Parliamo soprattutto di afghani, che nel loro percorso verso il nord Europa hanno iniziato dalla seconda metà del 2022 a passare da Como e da qui tentare l’attraversamento del confine. In pochi, anche tra operatori ed attivisti, si sono accorti della loro presenza.
Ad aprire una finestra su questo piccolo ramo della più grande rotta balcanica sono i dati prodotti dalle autorità italiane e svizzere che testimoniano come la frontiera di Ponte Chiasso sia ormai quella più trafficata in Italia. La loro freddezza ci racconta anche dell’enorme invisibilità di questi transitanti. Un’ennesima conferma di come Como sia a tutti gli effetti una città di frontiera, ma inconsapevole di esserlo.
La frontiera più trafficata d’Italia
Lo spiegano bene Irene Segone e Davide Pignata nel reportage “Respingimenti e ostacoli all’asilo. Ritorno sulla frontiera Italia-Svizzera” per Altreconomia. Il numero di riammissioni passive, ovvero di respingimenti al confine dei transitanti stranieri considerati irregolari da parte delle autorità svizzere, è stato ricavato da un’istanza di accesso civico al Viminale. Sono state 1.341 fra il gennaio e l’aprile del 2023 sul settore terrestre Como-Ponte Chiasso: è il dato più alto registrato nella penisola. Ma, nonostante questo, “l’impressione è che chi viene riammesso non si fermi in città, provando a continuare il viaggio in altre zone di frontiera, vicine e lontane”.
A testimoniare la centralità sempre maggiore della frontiera con il Ticino per la rotta balcanica sono anche i dati sui soggiorni illegali e sulle consegne alle autorità estere pubblicati dalle autorità elvetiche.
Il primo aumento dei flussi si è registrato nell’ottobre del 2021. Secondo la Segreteria di stato della migrazione Svizzera, SEM, “questa evoluzione è dovuta all’aumento del numero di migranti afghani, spesso minorenni, che da diversi mesi entrano irregolarmente in Svizzera nella Regione Est”. Il 2021 è stato l’anno della ripresa di Kabul da parte dei talebani, ma, specifica la SEM, “la stragrande maggioranza dei migranti si trova già da tempo in Europa. Inoltre, l’aumento è stato osservato dalla prima metà di luglio, diverse settimane prima che i talebani prendessero il potere in Afghanistan.” È da allora che, in ogni rilevazione mensile, gli afghani sono una delle nazionalità più rappresentate nell’ambito delle migrazioni irregolari, affiancati solo dai nordafricani negli ultimi mesi di monitoraggio. Nel 2022 si è registrato un ulteriore aumento nei numeri, poi rimasti costanti nel 2023.
Un cambiamento si è registrato anche nella geografia dei flussi. Fino alla seconda metà del 2022, i tentativi di attraversamento della frontiera avvenivano principalmente al confine orientale con l’Austria. A partire dal settembre dello stesso anno, iniziano ad apparire nelle rilevazioni i dettagli dei numeri sulla frontiera con il Ticino. Nel giro di qualche mese il confine meridionale diventa il principale ingresso nel paese, fino ad arrivare fra l’agosto e l’ottobre del 2023 a rappresentare tra il 50 e il 60% dei dati complessivi sui soggiorni illegali. Per la SEM, questo fenomeno si spiega riconoscendo che “’se fino all’ottobre 2022 la rotta Serbia-Ungheria-Austria era la più importante per la migrazione dai Balcani verso l’Europa, attualmente è invece la rotta dalla Serbia all’Italia attraverso Bosnia, Croazia e Slovenia quella più utilizzata.”
La conferma arriva anche da un rapporto pubblicato lo scorso luglio dal Mixed Migration Centre (MMC), un organismo del Danish Refugee Council (DRC) che si occupa di fornire dati sulle rotte. Il rapporto si compone di interviste fatte in nord Italia a transitanti bangladesi, pakistani e afghani nel tentativo di misurare le modalità di accesso a informazioni sulla rotta balcanica e il loro impatto sulla decisione di percorrerla. Secondo il MMC, tra il campione di intervistati, la maggior parte ha intrapreso un percorso che li ha portati dall’Iran alla Turchia, per poi raggiungere la Grecia o la Bulgaria, fino ad arrivare in Italia passando per Macedonia del nord, Serbia, Croazia e Slovenia.
Il numero di persone transitanti, quindi, è sicuramente in aumento, e i flussi hanno subito un riorientamento, rendendo il Ticino una destinazione privilegiata per chi arriva dal game nella penisola balcanica. La domanda centrale, però, rimane: perché queste persone a Como e dintorni non si vedono? Perché sembrano dei fantasmi?
Le ragioni dell’invisibilità
Georgia Borderi, operatrice della parrocchia di Rebbio e parte dell’Osservatorio giuridico sui diritti dei migranti, organizzazione di volontariato composta da avvocati e volontari con competenze trasversali in ambito legale, socioeducativo e psicologico, sembra avere delle risposte. “Noi abbiamo fatto per anni accoglienze straordinarie e la maggior parte dei casi erano di respingimenti al confine, soprattutto tra il 2016 e il 2018 dopo il famoso caso della stazione San Giovanni. Qualche anno fa c’erano più possibilità di accesso a strutture di accoglienza a Como. Poi si è chiuso tutto”.
Fino al 2018-2019, infatti, diversi transitanti si fermavano in città grazie a un importante lavoro sulla strada, attraverso cui era possibile inserire in accoglienza e in dormitori anche i respinti. Da lì veniva fatta poi la richiesta di asilo e l’inserimento in Centri per l’accoglienza straordinaria (Cas), immaginati al fine di sopperire alla mancanza di posti nelle strutture in caso di arrivi consistenti, ma che a oggi costituiscono la modalità ordinaria di accoglienza.
Di fronte all’assenza di strutture per un’accoglienza anche temporanea, dopo aver aspettato a volte molti mesi, transitanti e richiedenti tendono a cercare luoghi in cui questa ci sia. “Capita che facciano una notte in strada per poi andare in città dove ci sono maggiori supporti e sostegni”, spiega Georgia. “Rimangono pochissimo, qualche ora. Qualcuno si ferma di più perché in maggioranza arrivano in condizioni pietose. Ricordo che lo scorso anno, più o meno dalle 8 e mezza alle 14, io non facevo altro che disinfettare, cambiare le bende e curare le ferite”.
La minore ricettività è in parte la ragione per la quale anche chi viene respinto ha scarsa possibilità di restare sul territorio e quindi di essere visibile. “Con l’Osservatorio giuridico per i diritti dei migranti quello che vediamo sono persone soprattutto di nazionalità afghana. Molti cercano di passare il confine e si arrendono al fatto di non avere un luogo dove stare, perché a Como già da più di un anno si sono bloccati gli accessi all’interno dei Cas”. Il blocco degli accessi nei Cas di chi proviene dalla rotta balcanica, oltre a dipendere dall’assenza di strutture, è correlato al progressivo aumento degli sbarchi via mare negli ultimi anni: 61.639 nel 2021, 94.343 nel 2022 e 151.381 dal 1° gennaio al 24 novembre 2023 secondo gli ultimi dati del Ministero dell’interno. Un fenomeno a cui viene data priorità dalle prefetture quando si parla di messa a disposizione di posti per senza dimora.
Una questione locale
“Da marzo 2022 noi accogliamo in prevalenza minori su richiesta del Comune di Como” racconta Georgia, che sottolinea come lo scorso anno tra il 50 e il 60% degli arrivi riguardassero minori non accompagnati “respinti al confine e poi portati qui perché in quanto minorenni devono essere affidati al servizio sociale di riferimento, in questo caso Como”.
“Questo succede anche perché la Svizzera, pur facendo parte dell’area Schengen, permette di fermarsi nel paese ma non di attraversarlo. Una volta su suolo svizzero un minorenne non potrebbe essere respinto e rimandato alla dogana italiana per la presa in carico, ma la Svizzera avrebbe l’obbligo di contattare i propri servizi sociali”. Come scrivono Irene Segone e Davide Pignata su Altreconomia, in Svizzera “[l]e autorità, da una parte, non permettono alle persone transitanti di regolarizzare la loro posizione sul territorio e quindi di accedere alle strutture di accoglienza; dall’altra, puniscono chiunque aiuti il soggiorno di una persona che è in una situazione di irregolarità a causa del mancato accesso alla procedura di asilo”.
Nel 2022, nella parrocchia di Rebbio sono passati 246 minori stranieri non accompagnati (Msna), di cui 124 collocati in comunità. “Dei 122 che non sono rimasti, più del 90% ha provato ad attraversare il confine”, precisa Georgia. La maggior parte, anche in questo caso, è di nazionalità afghana, pakistana e in misura minore marocchina, beninese, eritrea, siriana, libica e bangladese. “Quest’anno i numeri sono più o meno simili anche se in calo rispetto all’anno scorso. Ci sono persone che hanno provato a passare la frontiera anche tre o quattro volte e lo sappiamo perché poi vengono riaffidati a noi, essendo l’unico luogo disponibile – continua Georgia -. Di solito vengono respinti, tornano indietro e poi riprovano. Li ritrovi dopo che sono stati fermati al confine e portati fuori dalla frontiera di Ponte Chiasso”. Molti, ad un certo punto, decidono di fermarsi perché stanchi di tentare, data l’enorme fatica di superare il confine. Tanti altri, invece, aspettano i passatori che chiedono denaro in cambio di un viaggio diretto solitamente alla frontiera di Ventimiglia, considerata più permeabile.
Dogana di Ponte Chiasso
Se è vero che negli ultimi anni le politiche nazionali in termini di migrazione sono state principalmente securitarie e repressive, le ragioni del fenomeno sembrano dipendere soprattutto da dinamiche locali. “Como non si vuole riconoscere come città di confine perché non vuole una serie di problematiche e oneri che poi ne conseguono. Dopo il 2016 si sono ampliati i numeri dell’accoglienza grazie a due dormitori e al supporto di un’ottantina di persone per l’inverno insieme a Caritas”. Durante l’amministrazione precedente il Comune di Como aveva inoltre promosso il progetto Strade verso casa, che prevedeva un supporto per italiani e stranieri, senza dimora, in condizione di emarginazione grave o vulnerabilità sociale, i cui casi venivano valutati singolarmente insieme a degli assistenti sociali. Con questo sistema, gli stranieri che avevano diritto a richiedere asilo entravano nei centri di accoglienza direttamente attraverso la prefettura, invece di rimanere per la strada.
Ora in città non esiste più una politica di questo tipo e le istituzioni non sono propense a occuparsene, probabilmente per il timore che questo porti a un aumento degli arrivi. “Per loro si può anche non aprire più il dormitorio, perché l’inverno non è più così freddo. L’anno scorso per l’apertura del dormitorio che hanno preso in carico completamente Caritas e Fondazione Somaschi non hanno dato contributi se non per le pulizie. I servizi diminuiscono – siamo passati da 80 a 35 posti nel dormitorio di Via Borgovico – ma di persone che arrivano e hanno bisogno ce ne sono”. Ai servizi che diminuiscono non corrisponde infatti una diminuzione degli arrivi. Questo smentisce la retorica del pull factor che vede l’accoglienza come fenomeno attrattivo e quindi concorrente ad aumentare la portata dei flussi e il numero di transitanti. “Adesso sono aperti due pronto intervento minori ma non per questo arrivano più minori. L’anno scorso abbiamo avuto 246 arrivi e non c’era niente”, conclude Georgia.
Ci sono città più attrezzate di altre e passaggi più fortunati di altri. Questa sembra una delle regole del gioco, in un contesto locale e nazionale in cui manca l’accettazione della realtà di un fenomeno e la progettualità che dovrebbe derivarne. È un gioco che esiste sotto gli occhi di tutti, che molti continuano a non aprire.
Daniele Molteni
Riccardo Soriano
Editing: Tommaso Siviero
Infografiche: Riccardo Soriano