Como: un giardino senza fiori
Il bisogno di uno spazio aggregativo-culturale è un tema che ciclicamente torna alla ribalta nel dibattito pubblico cittadino. In questa serie di tre articoli ripercorriamo alcune tappe fondamentali della ricerca di spazi per giovani. Tra eventi nazionali e locali, movimenti politici e culturali, in una storia che ancora corre a dare forma alla Como di oggi.
Episodio 1
Da Cento Fiori alla chiusura del Rock Club 52
Cento Fiori visto da Piazza Roma. Foto degli anni ’80.
È il 1968, l’anno spartiacque, l’anno in cui si fa spazio attraverso mobilitazioni di massa un nuovo soggetto politico: i giovani. “Avevo 14 anni nel ‘68 e ho dovuto rivendicare il mio spazio con le unghie e con i denti. Per uscire fuori la sera, dormire fuori una notte, per occupare il liceo o l’università” – racconta Celeste Grossi, oggi insegnante in pensione, da sempre attiva nella politica istituzionale e non.
Quell’anno i giornali di tutto il mondo non parlano d’altro che di proteste, cortei, occupazioni di scuole e università, marce per i diritti civili e processi di decolonizzazione; tutti eventi che si intersecano tra loro e innestano una profonda frattura con il passato.
Lo spirito del ‘68 passa anche da Como e porta alla nascita e allo sviluppo di Cento Fiori, uno spazio di aggregazione multiculturale situato in Piazza Roma 52.
Rivisteria di Cento Fiori. Foto degli anni ’80.
Nella sede di quello che erano Potere Operaio e i movimenti di estrema sinistra si sviluppa, a fine anni ‘70, la realtà di Cento Fiori. “Arrivata a Como dalla Campania ho subito iniziato a frequentare Cento Fiori – racconta Celeste – e lì abbiamo dato vita ad una rivisteria importantissima aperta al pubblico gratuitamente che contava un’ottantina di riviste, da lì, poi, si è sviluppato anche un circolo cultural-politico”. Cento Fiori con il tempo si è allargato e ha occupato anche la casa accanto, un piano terra abbandonato che da magazzino è diventato sala riunioni. “Cento Fiori era uno spazio misto. Si riunivano e si incontravano gruppi politici, intellettuali, persone emigrate dall’Eritrea ed altre che cucinavano insieme. Era uno spazio di incontro ed era profondamente politico”. Tra gli anni ‘60 e la fine degli anni ‘70, infatti, la vita dei giovani è profondamente impregnata di politica. Dopo il baby boom del dopoguerra questo soggetto multiforme vuole guadagnarsi il proprio spazio nella società e per farlo confligge con lo status quo e le istituzioni tradizionaliste.
Giovani e intellettuali riuniti alla rivisteria. Foto degli anni ’80.
Como, tra il 1961 e il 1971, secondo i censimenti dell’ISTAT, vede la sua popolazione crescere esponenzialmente e passare da 81.983 a 97.996 abitanti, un tetto mai più raggiunto dalla città, sintomo di una forte crescita demografica e della più massiccia presenza di giovani che la città abbia mai conosciuto. Si sviluppa, così, una forte necessità di spazi di espressione e aggregazione che possano permettere a questi “esseri divenenti” di definire e portare avanti le proprie istanze.
Giovani sulla porta del centro culturale. Foto degli anni ’80.
Tuttavia, nel corso degli anni ‘80, molti giovani dalle proteste studentesche sono passati alla lotta armata o si sono persi per strada con il dilagare dell’eroina. Negli anni di piombo il cambiamento richiesto al sistema, per molti, è diventato possibile solo attraverso la violenza. “Si è radicalizzato lo scontro – continua a raccontare Celeste – e si è inasprita anche la reazione del sistema. A Cento Fiori in pochissimi hanno fatto la scelta delle armi e si sono allontanati dal centro culturale. Purtroppo però, a livello mediatico, noi che eravamo non-violenti, ma dissentivamo dal sistema, siamo stati criminalizzati. Abbiamo conservato il nostro spazio fisico in Piazza Roma, ma abbiamo perso la nostra agibilità politica”.
Portone esterno di Cento Fiori. Foto degli anni ’90.
Verso la fine degli anni ‘80 Cento Fiori cambia lentamente natura, così come cambia la cultura dei giovani, fino a chiudere negli anni ‘90. Dopo gli anni del Reflusso, i giovani si distaccano sempre più dalla cosa pubblica e preferiscono ai circoli culturali i concerti di musica rock.
Piazza Roma 52. Foto degli anni ’90.
Così negli anni ‘90 una parte dello spazio di Cento Fiori viene occupato da una gruppo di ragazzi legati dalla passione per la musica che cercavano da tempo una sala prove, da lì nasce l’esperienza del Rock Club 52.
Spazi interni occupati dal Rock Club 52. Foto degli anni ’90.
Enzo D’Antuono, allora musicista di una rock-band, oggi Presidente del Cinema Gloria, racconta: “Con i giovani devi rischiare: noi del Rock Club 52 lo accettavamo. La musica era quello che negli anni ‘80 ci ha permesso di non venir spinti fuori dal sistema e con le nostre forze abbiamo creato uno spazio di incontro e di divertimento con una sala prove aperta a chi voleva suonare e il primo internet point della città.
Serate al Rock Club 52. Foto degli anni ’90.
In quegli anni non si andava a vedere il concerto al Club, ma si andava per viverlo, incontrare coetanei, la musica era un luogo, una possibilità, era un modo di stare nel sistema facendo sentire la propria voce”. Enzo racconta che il Rock Club era un posto all’avanguardia e ben attrezzato, aveva un dj set e permetteva di registrare, tant’è che Davide Van De Sfroos registrò proprio lì il suo primissimo disco. Molti artisti sono passati da lì e dal Box 202, il bar che faceva musica live esattamente sotto il Rock Club 52. Piazza Roma era diventata uno spazio di espressione attrattivo per tutti i giovani, indipendentemente dalla classe sociale di provenienza. “Il Rock Club era bello perché c’era una mescolanza di gente che andava dal punk allo snob della Como bene” sottolinea Enzo. La musica era un linguaggio comune ed era anche un modo per richiamare l’attenzione delle istituzioni su alcuni temi.
Serate al Box 202. Foto degli anni ’90.
“Anche in quegli anni si parlava del problema dei giovani e noi del Rock Club abbiamo sollevato già allora il tema degli spazi all’amministrazione. Il fatto era che tutte le associazioni e realtà che facevano cultura come il Rock Club, ma anche come il Jazz Club di Sagnino o il Teatro Città Murata, si sono sempre organizzate da sole, nessuna ha mai ricevuto un sostegno serio. Ci vorrebbe un’amministrazione che stimoli, che assegni, con una selezione, i pochi spazi che abbiamo ai migliori progetti di aggregazione socio-culturale. Altrimenti, senza un sostegno serio le persone che devono avere di che vivere cercano di portare il cibo a casa da un’altra parte”.
Eventi al Box 202 Foto degli anni ’90.
Il Rock Club è durato tre anni, nel 1998 chiude i battenti e la città di Como comincia pian piano a perdere la sua forza attrattiva per i giovani. “Con il Rock Club ci sono cresciuto e mi sono formato” racconta Alessio Senesi, ex-frequentatore del Club, oggi fondatore del Joshua Blues Bar di Albate. “Finita quell’esperienza abbiamo cercato per anni uno spazio e siamo riusciti a trovarlo solo nel 2017 ad Albate, dove abbiamo aperto il Joshua che vuole essere un mix del Rock Club e del Box 202. Il Joshua è un bar che fa musica live, ma ha anche uno spazio che viene usato sia per fare le prove, sia per fare dalle lezioni di yoga al burlesque”.
Dj set del Rock Club 52. Foto degli anni ’90.
“Purtroppo – conclude Alessio – aprire un locale come questo in centro Como sarebbe stato impossibile. Como è una città molto bella da vedere, ma a livello culturale le voci alternative sono malviste, se avessimo aperto uno spazio per fare musica live in città avremmo chiuso dopo un mese”.
Concerto al Joshua Blues Bar. Foto del 2019
Giulia Tringali
Maria Colonna
Luca Caldironi