scorri per continuare

«Se a febbraio mi avessero chiesto cosa sarebbe successo al turismo sul Lago di Como avrei tranquillamente detto che ci aspettava ancora un decennio di crescita». A raccontarlo a FuoriFuoco è Giuseppe Rasella, membro della giunta di Camera di Commercio Como-Lecco con delega al turismo e albergatore nell’Alto lago. «Ora è cambiato il mondo, è cambiata un’epoca: è difficile dire se e quando si tornerà a crescere».
Il covid è stato un colpo enorme per l’economia mondiale, in grado di accelerare cambiamenti già in atto e di scardinare certezze e paradigmi con cui guardare al mondo. Ha preso alla sprovvista anche quegli imprenditori, piccoli e grandi, locali e internazionali, che negli ultimi anni hanno investito nella crescita del turismo sul Lago sperando in un nuovo volano dell’economia territoriale dopo la crisi dell’industria.
Le prospettive dell’economia lariana hanno subito cambiamenti profondi e rapidi negli ultimi anni e il covid va ad aggiungere elementi di incertezza in questo panorama in trasformazione. Per capirlo a fondo e provare ad immaginarsi il futuro prossimo dell’economia del Lago di Como, uno sguardo approfondito può partire dalla spiaggia dell’ex porto industriale delle Ferriere Falck di Dongo.

L’ex porto industriale si trova di fianco alla spiaggia principale del paese. Sui muri in pietra all’ingresso dell’insenatura artificiale si intuisce la scritta “Ferriere Falck”, sbiadita e arrugginita dal tempo e dall’acqua di lago. Il 6 ottobre 2020 l’area è stata acquistata in un’asta giudiziaria presso il Tribunale di Como. Dal Pgt comunale si apprende che è destinata ad uso turistico, ricettivo e commerciale.
La storia del gruppo industriale Falck nasce in questo paese dell’Alto lago di Como ad inizio ’800, con l’arrivo dall’Alsazia dell’ingegnere Georges Henri Falck, chiamato come consulente dalla famiglia Rubini, allora proprietaria dello stabilimento siderurgico. Giorgio Enrico Falck, discendente dall’unione delle due famiglie, fonda nel 1906 la nuova “Società anonima Acciaierie e Ferriere Lombarde”: inizia così l’espansione della famiglia con gli stabilimenti di Sesto San Giovanni e Vobarno, a cui successivamente si aggiunge quello di Milano.

Foto archivio Enrico Levrini

Nel 1931, con il nome “Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck”, la società diventa la prima in Italia tra i privati per produzione di acciaio. Questo, per Dongo, si traduce in un benessere economico senza precedenti, tanto da coniare l'appellativo "mamma Falck”. Negli anni d’oro le ferriere Falck di Dongo fornivano lavoro a più di 2000 persone. Il paese contava circa 3500 abitanti. La crescita continua fino ai primi anni ‘80, quando inizia a sentirsi la concorrenza delle economie in sviluppo di paesi esteri e il mercato siderurgico italiano subisce i primi contraccolpi. La terza generazione dopo Giorgio Enrico Falck è costretta a vendere l’azienda, che viene smembrata per differenziare la produzione e salvaguardare i posti di lavoro. Non basta: si susseguono anni fatti di fallimenti societari, cali occupazionali e ricorso massiccio alla cassa integrazione, un periodo di commissariamento.

Ad oggi l’unica azienda ancora attiva negli ex stabilimenti Falck è la Dongo Casting srl, azienda che si occupa di produzione di alluminio. L’azienda, proprietà dal 2019 della società di Hong Kong Elecpro International Investment Holding, ha riaperto le porte ai suoi 90 dipendenti agli inizi del 2020 grazie ad un accordo con i sindacati. Non è detto che questa sia il lieto fine della storia: tra i timori c’è quello che i piani della holding cinese contino sulla chiusura della fabbrica in vista di un uso residenziale dei terreni. I capannoni abbandonati attraversano ancora oggi l’intero abitato di Dongo, tagliandolo in due lungo il corso del fiume Albano. Sono gli unici testimoni del passato industriale, insieme ai nomi delle vie intitolate alle famiglie Falck e Rubini. Durante gli anni lo stabilimento dell’ex Falck è stato smembrato in tre lotti: il primo, più a monte, è quello dove è attiva la Dongo Casting. I capannoni del secondo lotto sono al momento in fase di bonifica in vista di una presa in carico da parte di una cooperativa di artigiani. Il terzo lotto è quello dell'ex porto. Qui si scommette il futuro del paese: presto verranno costruite attività ricettive, probabilmente un albergo, ed esercizi commerciali. Anche a Dongo, come nel resto del lago, si punta sul turismo per riempire quei vuoti che l’industria si è lasciata alle spalle.

Dalla spiaggia di Dongo le montagne appaiono dolci e ribassate: siamo nel bacino di Colico, in Alto lago. Il paesaggio si apre verso le pendici delle Alpi, da cui scende il Tivano, vento placido e costante che soffia nelle prime ore del giorno da nord verso sud. A metà mattina è rimpiazzato dalla Breva, che risale il lago dalla parte opposta.

Questi venti, caratteristica distintiva della zona, hanno aiutato la riqualificazione in senso turistico degli ultimi anni. La loro presenza costante fa del bacino di Colico un luogo molto frequentato da turisti del nord Europa appassionati di sport nautici, aprendo a nuove forme di turismo.

In Alto lago sono infatti nati campeggi, alberghi economici, bed and breakfast e affittacamere che vivono di un turismo ben diverso da quello di villeggiatura più tradizionale, concentrato più a sud. Scendendo in questa direzione si incontrano le ville della Tremezzina e gli alberghi di lusso di Griante, Bellagio e Cernobbio. I venti si fanno sentire meno e il paesaggio è più docile.

La vocazione turistica del lago di Como è antica. Già Plinio il Giovane, comasco d’origine, lo descrive come un luogo perfetto per la villeggiatura. Sono moltissime le opere d’arte che nei secoli ne decantano la bellezza. Tra ‘700 e ‘800 sul ramo comasco nascono le ville in stile Liberty che contribuiscono alla magia del paesaggio e negli stessi anni il lago diventa la meta per i giovani aristocratici europei impegnati nel Grand Tour. Tra i tanti passano da qui anche William Wordsworth, Stendhal, Mary Shelley.
Quello di quegli anni è un turismo di villeggiatura fatto di numeri molto piccoli, i pochi che potevano permetterselo. L’economia del lago era trainata da un settore manifatturiero e industriale che cresceva senza sosta: il distretto della seta, che ha reso Como famosa nel mondo, il distretto metalmeccanico della provincia di Lecco e altre importanti aziende sparse sul lago, ora perlopiù chiuse, come la Falck o le cartiere di Maslianico e Cernobbio.

Questi settori oggi non godono di buona salute. Dati di Unioncamere (forniti dalla Camera di Commercio di Como e Lecco) stimano in diecimila i posti di lavoro legati al manifatturiero persi nella provincia di Como tra il 2011 e il 2020 contro le poche centinaia della provincia di Lecco, dove rimane ancora saldo. Il dato non è preciso né esaustivo, perché tiene conto solo delle aziende con sede nella provincia e si estende fino alla bassa comasca e a parte della Brianza, ma è indice dei grandi cambiamenti del settore. In questi anni di tracollo industriale, il turismo inizia a giocare un ruolo sempre più forte. «Finché abbiamo avuto altre fonti di reddito, il turismo era una di quelle secondarie» spiega Gisella Introzzi, che ha lavorato per la Camera di Commercio di Como e per Unioncamere in Lombardia prima di diventare assessora al commercio per l’ex giunta comasca a guida Lucini (centro-sinistra). «Senza guardare troppo indietro, fino a pochi anni fa i grossi hotel restavano chiusi d’inverno. È stato quando il settore industriale ha ceduto il passo al turismo che gli investimenti delle grandi famiglie imprenditoriali comasche si sono orientati su questo settore, che ha iniziato a crescere».

Tra il 1999 e il 2019 la crescita del turismo è stata incredibilmente rapida: il numero di arrivi ha registrato un incremento del 250% secondo dati ISTAT, facendo del lago una delle mete turistiche più importanti del nord Italia, terza in Lombardia per numero di presenze. Guardando ai flussi, la crescita è continua dal 2003 fino ad arrivare nel 2019 ad 1 milione e 700mila turisti. Dai dati (evidenziati dai grafici che vi riportiamo) è subito chiara la differenza tra i due rami: nonostante la forte crescita di Lecco degli ultimi anni l’83% dei turisti totali sul lago passa ancora da Como. Anche la spesa dei turisti si concentra per lo più nel comasco. Nel 2018 Banca d’Italia riporta una spesa turistica totale tra le due province pari a 2 miliardi e 32 milioni euro. Di questi, solo 312 milioni sono spesi a Lecco. Questi erano i numeri prima del covid.

Se un tempo Como era “la città della seta”, oggi è la città di #LakeComo, territorio diventato brand nelle campagne promozionali. Alcune delle fabbriche della filiera tessile sono state riconvertite e le vie del centro storico, dalle vecchie mura cittadine fino al lungolago, si sono riempite di bar, ristoranti, boutique a misura di turista.

Aumentano i turisti, aumentano le strutture ricettive. I posti letto sono aumentati per qualunque tipologia di struttura, dagli alberghi ai campeggi, ma sono due gli aspetti più interessanti di cui tenere conto. Uno è quello dei grandi hotel di lusso: erano 3 nel 2014 e 7 nel nel 2018, per un totale di 913 posti letto, tutti concentrati nel ramo comasco. Se il covid non ha bloccato i progetti in costruzione, i numeri potrebbero raddoppiare a breve.

Ma a crescere sono anche bed and breakfast e case vacanze, che hanno usufruito del boom delle piattaforme digitali di prenotazione. Nel 2018 erano 656 quelli ufficialmente registrati presso i comuni del comasco e mancano completamente dati o stime per le attività non dichiarate.

Per famiglie e giovani con un letto libero, aprire un B&B può essere un bel modo di arrotondare le entrate alla fine del mese senza grossi sforzi, caricando qualche foto online. Per i turisti vuol dire prezzi più bassi e un maggiore contatto con persone del posto e con il territorio, forme di turismo più autentiche e accessibili. Ma non è tutto oro quello che luccica: come già visto in altre città, la crescita di alloggi turistici e di B&B può avere un impatto negativo sul territorio. La facilità di accesso alle piattaforme apre la strada alla nascita di vere e proprie strutture turistiche non registrate, come più volte denunciato dalle associazioni di categoria che lamentano la concorrenza sleale. L’aumento di queste attività pone interrogativi anche alla demografia delle città. Lo scorso 5 ottobre l’attuale sindaco di Como Mario Landriscina, preoccupato dallo svuotamento del centro storico, ha firmato un accordo con Confedilizia per permettere contratti di locazione di lungo periodo a prezzi agevolati, in modo da incentivare l’affitto degli appartamenti ai residenti, che in città rimangono tutto l’anno.

La crescita del turismo degli ultimi anni ha ricadute, soprattutto in alta stagione, anche nel sovraccarico dei mezzi di spostamento, dai trasporti pubblici pieni fino al traffico bloccato delle auto che si spostano in città e sul lago. La si vede nelle lunghissime code per prendere i battelli, non abbastanza frequenti per essere una vera alternativa al trasporto su strada, o in quelle davanti alla funicolare che da Como porta a Brunate. La si vede nelle lunghe attese per fare la spesa nei piccoli alimentari e supermercati dell’Alto lago in piena stagione. La si vede nella precarietà e nella stanchezza dei lavoratori del turismo.
«Reggere le condizioni dell’alta stagione è difficile. Nei mesi centrali la gente lavora tantissimo, gli stagionali arrivano a fine stagione stremati» dice Fabrizio Cavalli, segretario di FILCAMS CGIL Como.

Foto di Andrea Butti

Il contratto nazionale per i lavoratori stagionali prevede la possibilità per chi è assunto di dare la disponibilità per l’anno successivo: le aziende, a quel punto, sono vincolate a dar loro precedenza. Non è sempre così, spiega Cavalli. «Nel momento in cui c’è una stagione come questa, dove i numeri calano fortemente, le aziende assumono meno e una serie di persone rimane fuori. I problemi non ci sono solo in questi casi eccezionali: c’è sempre una certa fragilità in questo lavoro. Visto il rinnovo di anno in anno, se ti metti di traverso rischi di risultare non gradito e ti viene fatto pagare. Questo discorso vale soprattutto per le persone del posto, meno per i lavoratori che si spostano con le stagioni. Non ci sono molti casi di non conferme a Como, ma sicuramente c’è una paura di fondo che porta a tacere su alcune condizioni».
Contratti alla mano, il 90% degli occupati della stagione 2018 è fatta di stagionali a tempo determinato o assunti con contratto a chiamata, di apprendistato o di sostituzione (dati Unioncamere forniti da CGIL). Contratti più flessibili che danno meno tutele ai lavoratori e di conseguenza meno certezze a chi vive sul territorio. Se si tratta di giovani, c’è un grosso incentivo a spostarsi.

In questo panorama turistico in crescita, che già faceva vedere i suoi limiti, ad inizio 2020 si inserisce a gamba tesa il covid. Secondo i primi dati provvisori forniti da PoliS Lombardia a giugno 2020, la contrazione dei soli arrivi primaverili ha portato ad una perdita di 122 milioni di euro di spesa turistica tra le province di Como e Lecco. Questo senza contare i mesi estivi, durante i quali si concentra la gran parte flussi. È vero che il basso numero di contagi del periodo ha permesso una parziale ripresa del settore, ma le limitazioni sono state in ogni caso molte, soprattutto per un territorio che ha puntato principalmente sulla crescita del turismo internazionale e intercontinentale. La riduzione degli arrivi è stata del 38% per gli italiani e del 78% circa per gli stranieri nel mese di luglio. Ad agosto la situazione è migliorata, ma si è registrato ancora un -59% sui turisti stranieri. «Ciò che questa crisi ci dice è di cambiare, di puntare maggiormente sul turismo di prossimità, soprattutto italiano e della vicina Europa» sottolinea Rasella della Camera di Commercio.

Foto di Andrea Butti

«Il problema grosso per i nostri territori è che non c’è mai stata una scelta di politica pubblica da parte delle amministrazioni sul tema» spiega Gisella Introzzi.
«Il boom del turismo è stato completamente in mano all’iniziativa privata. Rispetto al turismo elitario di qualche anno fa, tranne qualche eccezione che si discosta, oggi si punta tutto su un turismo di massa. La trasformazione è maturata sulla spinta di mercato e la promozione del territorio ha portato il nome di Como in giro per il mondo. In tutto questo la guida della politica non c’è, c’è solo l’interesse economico, che sicuramente ha portato ricchezza e posti di lavoro, ma anche il rischio che Como arrivi presto ad avere nel suo piccolo gli stessi problemi di Firenze o Venezia. Il problema è quello di un modello che è costruito e misurato solo in termini numerici. Manca la misura di qualità che aprirebbe ad altri tipi di riflessioni un po’ più ampie. Ragionamenti che oggi, dopo il coronavirus, si impongono».

Un primo passo per mettere in atto un cambiamento potrebbe essere quello di una destagionalizzazione dei flussi. Dal rapporto realizzato da Cresme per la Camera di Commercio di Como e Lecco si ricava che negli ultimi anni le strutture ricettive comasche hanno lavorato a pieno regime per 79 giorni all’anno di media con una forte concentrazione dei flussi durante l’estate. La situazione su Lecco è ancora peggiore, con soli 37 giorni. Destagionalizzare vorrebbe dire assicurare un flusso turistico più costante, con ricadute positive sulla qualità dei rapporti di lavoro, sulla spesa turistica e sulla capacità del territorio di farsi carico dei numeri di turisti.

«Qualsiasi discorso sulla destagionalizzazione, ma anche sulla piena stagionalità, deve partire dalle infrastrutture» spiega però Cavalli (CGIL) «perché ormai anche in piena stagione non si regge più. Quello che serve è un rapporto tra servizi offerti, infrastrutture e presenza di persone: se costruisci altre strutture ricettive, ma non riesci ad assicurare sistemi di trasporto adeguati, ad esempio, vai a spingere ancora nella stessa direzione, e abbiamo visto che non funziona. Lavorare di più vuol dire maggiore reddito e minore disoccupazione, ma la destagionalizzazione deve per forza portare a contrattare migliori condizioni di lavoro, a un numero di personale più alto in particolare nei maggiori picchi di presenze». «Tutto questo sarebbe risolvibile con una buona politica di sviluppo del territorio» dice Giuseppe Rasella. «Una singola istituzione può far poco: è essenziale la collaborazione tra tutti gli enti coinvolti».

Ma a chi spetterebbe la regia di questa collaborazione? Non è chiarissimo, in realtà, soprattutto dal 2001 con la riforma costituzionale del titolo V. Formalmente la competenza sul turismo è in mano alle regioni, ma - almeno per quanto riguarda la Lombardia - si assiste ad una frammentazione su più livelli. Inizialmente è stata affidata alle Province, ma con il depotenziamento la situazione si è complicata.
«Le Camere di commercio hanno la delega sulla promozione turistica, ma sono ancora le Province a gestire i dati, che a noi arrivano dopo un lungo iter burocratico che può durare anche un anno» dice Rasella. «Il nostro obiettivo è quello di aggregare tutti questi attori istituzionali per aiutare lo sviluppo del territorio, ma non è facile. In una situazione così critica come quella attuale abbiamo un bisogno incredibile di dati per darci una direzione. Per capire dove investire le risorse e su che tipo di turisti puntare abbiamo bisogno di analizzare i dati sui flussi turistici e sulle strutture ricettive, dati che però arrivano sempre in ritardo».

Nella zona dell’ex porto industriale di Dongo i lavori di costruzione delle nuove strutture turistiche e commerciali non sono ancora iniziati e probabilmente non lo saranno a breve. L’acquirente dei terreni è al momento ancora sconosciuto; da informazioni in nostro possesso si tratterebbe di una società italiana, costituita di recente, ma non sappiamo nulla di più. Ha vinto l’asta, assicurandosi la proprietà dei terreni per 965 mila euro e prendendosi carico anche dei costi di bonifica dei 30 mila metri quadri del complesso. Giovanni Muolo, sindaco di Dongo ha un passato lavorativo in Falck da perito elettrotecnico, come moltissimi da queste parti. «Speriamo che il turismo possa sostituire il comparto industriale» racconta tra gli arazzi delle sale municipali, che di storia ne hanno vista passare parecchia. «I vecchi operai che non hanno trovato un’occupazione nella Dongo Casting oggi lavorano in Svizzera. Molti giovani, invece, sono costretti ad andarsene per trovare lavoro e un futuro».

Il paese non è stato ancora in grado di riprendersi totalmente dal fallimento della Falck e la crisi post-covid non farà che complicare la situazione. Secondo Rasella della Camera di Commercio il 70% dell’occupazione in Alto lago dipende direttamente o indirettamente dal turismo: la stagione turistica 2021 - che non si preannuncia migliore della precedente - metterà in difficoltà tutta la zona. Tra le sfide da affrontare nel post-covid ci sarà sicuramente quella del rilancio del settore turistico, tra i più colpiti, che a Dongo significa portare a termine la riqualificazione turistica della zona dell’ex porto. Se è vero che le crisi, in una sorta di gioco prospettico, rappresentano anche delle opportunità per cambiare, questa è un’occasione che non bisogna lasciarsi sfuggire. La domanda che rimane è una: le istituzioni pubbliche saranno in grado di portare i diversi stakeholders a cooperare per lo sviluppo armonioso del lago? La risposta, se arriverà, passerà anche da Dongo.

Imago

Prodotto da Matteo Ronchetti.
Scritto da Tommaso Siviero e Riccardo Soriano; curato con infografiche da Maria Colonna e Giuliano Ghirimoldi
Si ringraziano per la collaborazione Paola Zaccagno di Cooperativa Imago, Fabrizio Cavalli di CGIL, Andrea Butti ed Enrico Levrini per le foto, Clementina e Renato per l'ospitalità.

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