scorri per continuare

Il 12 marzo 1948, un venerdì di fine inverno, Pietro Vassena raggiunge a bordo del suo batiscafo C3 il fondo del Lago di Como, a quota meno 412. È la prima volta che un uomo si spinge così in profondità tra le acque scure del Lario.
Chissà cosa avrà provato nel riemergere, nel tornare al paesaggio familiare dopo aver avuto accesso per primo a quella prospettiva così insolita e affascinante. Chissà cosa avrà pensato, dopo averne visto per primo il fondo, delle acque blu del Lago e delle Prealpi verdi che lo contornano, delle lussuose ville che richiamano oggi l’attenzione di Vip e magnati, delle dolci rive così usate per aperitivi e selfie.

Oltre settant’anni dopo sono soprattutto queste le immagini che ci vengono alla mente quando pensiamo al Lago di Como, #lakecomo, per usare un hashtag ormai internazionale. Anni in cui tanto, forse tutto, è cambiato.

Il Lago è passato dall’essere al centro della vita di migliaia di persone, condizionandone la quotidianità e le scelte, all’essere sempre più solo una cornice per la vita che gli scorre attorno. Con il rischio che si perda di vista la sua realtà di ecosistema vivo, che vive e dà la vita, relegandolo sempre più a diventare un semplice sfondo da cartolina.

Per capire lo stato di salute del Lago di Como abbiamo scelto, proprio come Pietro Vassena, di ripartire dalle sue acque, immergendoci grazie ad un moderno drone subacqueo e all’aiuto di esperti, ricercatori e attivisti del territorio.

Una delle guide in questo viaggio è Nicola Castelnuovo, paleobiologo, laureato in Scienze Naturali e membro di Proteus, centro comasco di didattica ambientale e divulgazione scientifica. Per iniziare, Nicola sfata un falso mito relativo all’origine del Lago di Como: «Il bacino, che raggiunge una profondità massima di 425 metri, si è formato grazie all’erosione di un fiume, il Paleoadda, che all’epoca scorreva fino al mare che si trovava poco a sud di Como. La sua origine è dunque fluviale, non glaciale. Solo dopo l’ultima glaciazione, infatti, si è formata la visibile valle a “U” che caratterizza ancora oggi la morfologia lariana, impostata sopra quella incisa a “V”, di origine fluviale e più vecchia. Il fondale del lago è infatti composto di limo e sabbia, questo è indice del fatto che il Paleoadda, in realtà, ha scavato la roccia per diverse centinaia di metri sotto l’attuale livello del mare e i sedimenti si sono depositati soltanto in seguito, trasportati dai fiumi che ora si immettono nel lago».

Nicola Castelnuovo

È proprio l’acqua, elemento fondamentale che ha dato origine alla vita sulla terra, a costituire l’ago della bilancia dell’intero ecosistema. Per capire la sostenibilità della vita tutt’intorno è essenziale conoscerne qualità e composizione chimica.

Con alcuni campioni prelevati davanti a Punta Geno, Nicola si dirige verso il laboratorio di Proteus nella vicina darsena. «Il lago di Como - aggiunge - è un ecosistema complesso e ha delle regole ambientali che deve mantenere per non degradare la qualità dell’ambiente. Per prima cosa è oligotrofo: deve contenere pochi nutrienti altrimenti rischia di marcire».

L’abbondanza di nutrienti favorisce infatti la fioritura di microalghe (fitoplancton) in grande quantità che, decomponendosi dopo la loro morte, tolgono luce e ossigeno alle diverse specie. Il segno più evidente di questo processo è dato dalla moria dei pesci più pregiati a livello commerciale, più sensibili degli altri alla degradazione delle acque. All’interno del laboratorio di Proteus gli acquari sono popolati da esemplari delle specie più diverse. Alcune di queste sono oggi in pericolo per via del cosiddetto inquinamento biologico.

«La causa principale dell’inquinamento biologico - ci spiega il divulgatore scientifico - è data all’inserimento di specie alloctone, ovvero non originarie delle nostre zone, che destabilizzano l’habitat. Queste specie esotiche, avendo la stessa alimentazione di una o più specie autoctone, entrano in competizione con queste, portando all’indebolimento delle specie locali».

Insieme ai turisti provenienti dagli Stati Uniti, negli ultimi anni il Lago di Como ha aperto le porte anche ad altri americani, decisamente più temibili. Come il Gambero grigio di fiume americano (Orconectes limosus), una specie infestante e molto resistente, che sta mettendo in serio pericolo l’esistenza dei più piccoli gamberetti dai piedi bianchi. Un altro esempio, ancora più lampante, è quello del pesce siluro che dal centro e dall’est Europa è arrivato fino al nostro lago, mettendo a rischio la riproduzione della fauna ittica autoctona con la sua voracità e la veloce proliferazione.

un esemplare di pesce siluro fotografato da un pescatore amatoriale

Per capire realmente lo stato di salute del Lario, è però necessario prestare attenzione soprattutto a quel mondo invisibile (o quasi) fatto di essere viventi, dai nomi spesso impronunciabili, fondamentali per il mantenimento di una buona qualità delle acque. Tra i campioni d’acqua raccolti, Nicola riesce ad identificare al microscopio un esemplare di Gammarus, un crostaceo macroinvertebrato che aiuta l’ecosistema a riciclare la materia organica morta. Alcuni di questi animali sono degli indicatori delle acque: la loro presenza segnala che l’ambiente non ha troppi inquinanti. Se dopo vari campionamenti si trovano pochi macroinvertebrati, questo significa che probabilmente l’ambiente non è nel suo stato di salute ottimale. Un altro indicatore è lo zooplancton: sta alla base della catena alimentare e, cibandosi di fitoplancton, contribuisce attivamente a mantenere in equilibrio l’ecosistema. Riassumendo in uno slogan: «No zooplancton, no risotto con il pesce persico».

Negli anni, a seguito delle numerose analisi condotte da Proteus insieme all’Università Insubria di Como, oltre allo zooplancton sono stati individuati all’interno dei campioni di acqua anche microrganismi dannosi o tossici e persino composti chimici inquinanti.
Dal 2000, a seguito della Direttiva Quadro Acque europea, l’ente che si occupa del monitoraggio della quantità e della qualità dell’acqua del Lago è ARPA Lombardia. Lo fa ogni tre anni attraverso il rapporto sullo “Stato delle acque superficiali in Regione Lombardia - Laghi (la versione più recente al momento disponibile è quella aggiornata a gennaio 2019, relativo al triennio 2014-2016). In quest’ultimo rapporto, lo stato ecologico del lago viene giudicato appena sufficiente, quello chimico è definito “non buono”.

Enzo Tiso

Le cause principali di questa classificazione sono legate a motivi diversi. Da una parte vediamo ancora un’eccessiva presenza di nutrienti, che portano a fioriture di alghe e alla presenza superficiale di cianobatteri, ossia un tipo di batteri fotosintetici. «La Microcystis aeruginosa, per esempio, è un cianobatterio pericoloso perché produce tossine, sospette cancerogene» spiega Enzo Tiso medico del lavoro e presidente al Circolo Vassallo di Legambiente di Como. «ARPA ha trovato questo cianobatterio nel Lario durante le sue rilevazioni. La sua presenza è legata all’inquinamento per eccesso di nutrienti, come il fosforo, che in presenza di calore ne aumenta la produzione>>. Il rapporto di Legambiente “La Goletta dei laghi” nell’edizione del 2019 indica come fortemente inquinata, per esempio, la foce del fiume Esino, nei pressi di Perledo (Lc), per via della presenza sopra i limiti di Enterococchi intestinali.

Dall’altra parte troviamo l’inquinamento chimico. All’interno del rapporto si spiega che la condizione peggiore della qualità dell’acqua è stata raggiunta negli anni ’80. In quel periodo la forte presenza industriale sulle sponde del Lario e la mancanza di un depuratore creano numerosi problemi allo stato di salute del Lago. Con la creazione della Comodepur S.p.A. e il collegamento dei sistemi fognari dei comuni limitrofi al depuratore, la condizione del primo bacino è molto migliorata. Ad oggi entrambi i tipi di inquinamento sono presenti in misura ridotta e puntiforme, solitamente dovuti a guasti nelle tubature fognarie o ai pochi comuni non ancora collettati.

Della balneazione se ne occupano, invece, in modo più specifico le Agenzie di Tutela della Salute (ATS). Alla fine della stagione balneare del 2015 la qualità delle acque del Lago di Como doveva corrispondere almeno ai parametri di sufficienza per permettere la balneazione e così è stato. «Per determinare la balneabilità - spiega però Tiso - ci si focalizza solamente sulla presenza sotto una certa soglia di determinati batteri, quali Escherichia coli ed Enterococchi, mentre la presenza di sostanze chimiche dannose per l’uomo non rientra in queste misure». Le ATS prospettano che un livello di qualità “buona” potrà essere raggiunto non prima del 2027.

All’Università degli Studi dell'Insubria di Como, nell'ambito di Scienze Ambientali, è presente un piccolo gruppo di ricercatori che studiano l'inquinamento del Lario. Il gruppo è guidato dalla professoressa Bettinetti, biologa e docente di ecologia.

«Nelle mie ricerche mi occupo dei cosiddetti legacy pollutants e dei contaminanti emergenti» racconta nel cortile dell’ateneo. Gli inquinanti legacy sono quelli che ereditiamo dal passato, come il DDT, ad oggi vietati. I contaminanti emergenti sono invece farmaci, antibiotici, perfluorati e microplastiche. Tutte sostanze che abbiamo rinvenuto nelle analisi condotte in questi anni».

Ma com’è possibile che siano state trovate tracce di sostanze inquinanti teoricamente vietate da anni? Il gruppo di ricerca dell’Insubria ha elaborato una teoria: «facendo uno studio dei sedimenti del lago abbiamo avallato l’ipotesi che vede nello scioglimento dei ghiacciai della Valtellina e della Valchiavenna la principale causa della presenza di DDT e degli altri legacy pollutants» spiega la ricercatrice. «In passato i ghiacciai hanno accumulato molti inquinanti per via delle industrie e del massiccio uso di insetticidi contenenti sostanze ora vietate. Il loro scioglimento ne sta portando alte concentrazioni nel lago e questo spiegherebbe il ritrovamento anche nei pesci».

Sempre stando alle ricerche condotte dall’Università dell’Insubria, lo scioglimento dei ghiacci non sarebbe l’unica conseguenza negativa dell’aumento della temperatura: «L’accumulo di calore nel lago - aggiunge la professoressa - non farà che favorire le nuove specie alloctone abituate a climi più caldi e, a livello ecosistemico, potrà comportare problemi che riusciremo a vedere solo tra 10-15 anni».
Dati ARPA confermano un aumento costante delle temperature nel periodo estivo con una crescita di un grado in meno di trent’anni. In un bacino di acqua fredda come il nostro, questo non fa che accelerare il processo di eutrofizzazione con le conseguenze negative che comporta.

Tra i contaminanti emergenti individuati dal team dell’Insubria, le microplastiche meritano un approfondimento. Sono frammenti di plastica di dimensioni molto ridotte presenti nelle acque per causa umana. Dalle ricerche emerge che il 90% delle perche (famiglia di pesci a cui appartengono pesce persico e lucioperca, ndr) del Lago di Como contengono microplastiche nello stomaco.
Arianna Bellasi è una dottoranda che all’interno della squadra si occupa in prima linea della rilevazione di microplastiche nel Lago. Spiega come le microplastiche possano comportarsi da trasportatori di contaminanti organici o metallici, che vi si attaccano per poi depositarsi negli organismi viventi. Sebbene scientificamente non si abbiano ancora dei risultati certi circa gli effetti delle microplastiche sull’essere umano, ci sono possibili rischi non ancora valutati. Legambiente e gli studi dell’Università Insubria ne denunciano la presenza massiva nelle acque del lago e negli organismi viventi.

A chi compete portare avanti azioni coerenti che, partendo da queste rilevazioni, tutelino lo stato di salute del nostro Lago, favorendo uno sviluppo socio-economico sostenibile del territorio?

Il 19 giugno 2018 un tentativo di risposta organica emerge con il “Patto del Lago”, iniziativa promossa dalle Camere di Commercio di Como e di Lecco. Attraverso quattro parole chiave (patrimonio, identità, tutela e sviluppo), il Patto identifica il Lago di Como come una risorsa a trecentosessanta gradi. Il Lario agli occhi dei sottoscriventi diventa, dunque, un soggetto.

“Il metodo di lavoro che si intende adottare è quello ormai consolidato: una governance informale ma autorevole, che coinvolga e metta in rete tutti i soggetti interessati, a vantaggio di tutti” recita il Patto. “È imprescindibile infatti intensificare il tessuto delle interazioni del territorio lariano [...] nella consapevolezza che la competitività di un territorio è sempre più “sistemica”, dipende cioè dalla capacità dei suoi attori di fare squadra, di cercare e riconoscere obiettivi e progetti comuni, di unire le competenze e il ruolo di ciascun attore”.
Fino ad ora non si è tuttavia vista una reale capacità di coordinamento e di fare squadra e i risultati tangibili di questo nuovo approccio non si sono ancora visti; come scrive il gruppo tematico del Patto per il Lago di Como: “il progetto, molto complesso e articolato, è in corso di definizione tramite l’interlocuzione con i vari soggetti coinvolti”. Parole, dunque, ma fino ad ora pochi fatti.

Qualche azione, come visto, viene portata avanti da diversi soggetti della società civile: dal mondo delle associazioni come Proteus e Legambiente che si occupano di monitoraggio e sensibilizzazione, a quello scientifico e della ricerca come l’Università Insubria, nonostante i pochi finanziamenti per poter proseguire il proprio lavoro; da enti come ARPA, dal mondo delle imprese che investono in un'economia green e circolare, dalle iniziative di gruppi più piccoli e informali come i giovani di We.roof, che periodicamente si dedicano alla pulizia dell’ambiente.
Tutti questi soggetti lavorano nella direzione di uno sviluppo sostenibile che tenga conto dell’aspetto ambientale, economico e sociale del territorio. Necessiterebbero di un’azione politica lungimirante e concreta capace di mettere al centro il Lago, il cui stato di salute è l’ago della bilancia di un ecosistema in cui tutti noi siamo, letteralmente, immersi.
Proprio come Pietro Vassena circa settant’anni fa.

Prodotto da Matteo Ronchetti.
Scritto da Giulia Tringali con la collaborazione di Matilde Tarantino e Lorenzo Carbone; curato con foto, video e infografiche da Noemi Pigliapochi e Giuliano Ghirimoldi
Si ringraziano per la collaborazione Proteus e Nicola Castelnuovo, Legambiente ed Enzo Tiso, L’Università dell'Insubria di Como, Roberta Bettinetti, Arianna Bellasi e We.roof.

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