ASSALAM SIGNIFICA PACE
ma lotta da anni per il diritto di culto
Il 6 aprile 2024 le porte dell’Associazione Culturale Islamica Assalam di Cantù si sono aperte alla cittadinanza per condividere il momento dell’Iftar, la cena che interrompe il digiuno durante il mese di Ramadan.
La sede dell’associazione è stata preparata per accogliere gli e le ospiti con decorazioni e luci. All’ingresso venivano offerti i datteri, frutto con cui il profeta Maometto usava rompere il digiuno, mentre la cena era composta da diverse pietanze preparate dai e dalle socie dell’associazione secondo ricette di diversi paesi, dal Marocco al Pakistan, alla Tunisia, al Libano. É infatti una prerogativa di Assalam accogliere al suo interno soci e socie provenienti o originari da diversi paesi, accomunati dalla fede musulmana e dalla cultura araba.
Nonostante l’atmosfera di comunione e condivisione, sono ormai 10 anni che l’Associazione è impegnata in continui scontri legali con l’Amministrazione comunale di Cantù, che sostiene che il centro sia una “moschea abusiva” e che i e le socie non abbiano il diritto di utilizzare la sede come luogo di culto.
La sede di Assalam, in realtà, non è una moschea. E non è nemmeno solamente un luogo di culto.
“Assalam è un’associazione culturale islamica che riunisce persone che hanno in comune la religione ma anche la cultura islamica” ci spiega Salma Hassen, giovane socia di Assalam.
Salma ne parla come di un luogo che é soprattutto aggregativo e comunitario.
All’interno della sede di via Milano si svolgono attività per tutte le età: dall’aiuto compiti per i bambini e le bambine delle elementari, a momenti di ritrovo per adolescenti che organizzano incontri su diverse tematiche, all’insegnamento della lingua araba, alle feste per le nuove nascite.
“Noi giovani, che siamo in tanti all’interno dell’associazione, ci teniamo molto a coltivare sia la nostra parte italiana che la nostra parte araba e musulmana e per questo per noi Assalam è molto importante”
Ma tra incomprensioni e indisponibilità al dialogo da parte del Comune continuano gli scontri, con la buona pace della libertà di culto.
Dieci anni di incontri e scontri
La vicenda legale che contrappone il Comune e l’Associazione Assalam inizia nel 2014.
In quell’anno l’Associazione individua nel capannone di via Milano che ne è attualmente sede il proprio luogo di ritrovo e chiede all’allora proprietario di presentare un’osservazione presso il Consiglio Comunale, in modo da prevederla all’interno del Piano di Governo del Territorio. Il 31 gennaio 2014 il Consiglio Comunale di Cantù accoglie l’osservazione e ammette l’insediamento dell’Associazione nel capannone di via Milano.
A questo punto dell’iter legale, è necessario un cambio di destinazione d’uso presentando domanda all’Amministrazione Comunale, al tempo in mano alla lista civica Lavori in Corso. Si frappone però un ostacolo: nel 2015 Regione Lombardia modifica la sua legge urbanistica (legge n.2/2015) e prevede che per insediare un luogo di culto non sia più sufficiente solo l’inserimento nel PGT, ma che sia necessario anche presentare un piano per le attrezzature religiose, procedimento che avrebbe dovuto approvare il Comune. La richiesta di Assalam viene quindi rifiutata e l’Associazione fa per la prima volta ricorso al TAR, ma la richiesta rimane pendente.
Negli anni successivi, in attesa che il procedimento legale si sblocchi, la comunità islamica canturina si ritrova per le celebrazioni legate al mese del Ramadan in diversi luoghi pubblici, solitamente scuole, messi a disposizione dal Comune.
Tutto fila liscio fino al 2017. Quell’anno infatti il mese del Ramadan cade tra il 26 maggio e il 24 giugno del calendario gregoriano. Le strutture pubbliche non sono disponibili, dal momento che l’anno scolastico non è ancora terminato.
L’Associazione decide quindi di utilizzare il capannone per i momenti di preghiera. Lo fa senza avere i permessi, dal momento che non ha a disposizione un altro luogo di ritrovo. A questo punto l’Amministrazione comunale, cambiata a seguito delle elezioni, emette prima un’ingiunzione e, in seguito al proseguimento delle attività nella sede di Assalam, acquisisce il capannone di via Milano nel patrimonio comunale. L’Associazione fa nuovamente ricorso al TAR contro questa ordinanza.
Il TAR respinge il ricorso poiché sostiene che l’associazione ha utilizzato il capannone come luogo di culto senza il permesso. L’Associazione si rivolge al Consiglio di Stato che conferma la sentenza del TAR, ma aggiunge che occorre attendere l’esito del ricorso di Assalam contro il diniego di permesso, ancora pendente al TAR.
Tornando alla Legge regionale di cui abbiamo parlato poco fa, nel 2019 la Corte Costituzionale emette una sentenza che la ritiene incostituzionale, perché impedisce l’insediamento di nuovi luoghi di culto. Di conseguenza, l’ostacolo del programma per le attrezzature religiose che impediva l’insediamento di Assalam nella sua sede viene ora meno. Rimane però l’ostacolo dell’ordinanza comunale. Ordinanza comunale che si basa sull’utilizzo improprio della sede in quanto mancava il piano sulle attrezzature religiose…
Nel 2021 il TAR accoglie il ricorso di Assalam, decretando illegittimo il diniego da parte del Comune sull’utilizzo della struttura. E’ il primo di cinque ricorsi contro il Comune di Cantù che il TAR accoglie, dal momento che negli ultimi 5 anni l’Amministrazione Comunale ha sempre cercato di negare l’utilizzo della sede di via Milano per le celebrazioni del mese sacro del Ramadan. Anche quest’anno per il mese del Ramadan l’Associazione Assalam ha richiesto di poter utilizzare la sede di via Milano per le celebrazioni collettive, e l’Amministrazione Comunale di Cantù ha nuovamente negato il permesso.
Tuttavia, anche in questo caso, il TAR a seguito del ricorso presentato dall’associazione, ha concesso l’utilizzo con un decreto cautelare. Il diniego da parte del Comune è stato considerato nuovamente illegittimo per la prevalenza del diritto di culto. Il Collegio ha ritenuto illegittime “tutte le ragioni addotte dall’amministrazione a fondamento del diniego”.
Sul perché l’Amministrazione di Cantù sia così tenace nel tentare di impedire le attività religiose di Assalam, Salma Hassen ci parla di “poca comprensione e poca empatia”.
“La Costituzione italiana ci garantisce, con l’articolo 19, il diritto di culto. In realtà è sempre un po’ sorprendente [questo accanimento] per noi. La maggior parte dei membri non riesce a capire il motivo. Anche perché come Assalam abbiamo sempre, sempre, sempre cercato il dialogo con l’Amministrazione, per trovare la soluzione migliore per entrambe le parti. Ma nel momento in cui noi chiediamo il dialogo in realtà e non ci viene dato un feedback una, due, tre, quattro, cinque volte… non è giusto, non è rispettoso per noi.”
La comunità cittadina di Cantù non è comunque in toto allineata con le posizioni dell’Amministrazione comunale e lo ha dimostrato in diverse occasioni.
Sono state infatti portate avanti diverse iniziative in favore della libertà di culto tra cui il corteo per la libertà di culto e di associazione organizzato il 3 dicembre 2022, a cui hanno aderito più di 700 persone, oppure la serata “Diritti negati”, tenutasi al Teatro San Teodoro il 6 dicembre 2023, dedicata al tema della libertà di culto sotto il profilo legale.
Anche la parrocchia canturina ha manifestato più volte il sostegno all’Associazione Assalam, organizzando momenti di preghiera condivisa e con la partecipazione di alcuni esponenti della parrocchia agli Iftar comunitari organizzati nella sede di via Milano.
Tornando all’iter giudiziario, oltre alle sentenze del TAR riguardanti l’utilizzo della sede nel mese del Ramadan, il Consiglio di Stato ha emesso nel 2023 un’ordinanza contro l’acquisizione al patrimonio del Comune e si è espresso in favore del diritto di culto dell’Associazione Assalam, sostenendo la necessità di proseguire l’iter per il permesso a costruire.
Il ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani
La battaglia legale non è, però, limitata ai tribunali nazionali: Assalam ha infatti deciso di ricorrere presso la Corte Europea dei Diritti Umani contro lo Stato italiano per la lesione di alcuni diritti previsti nella Carta Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il ricorso nasce da uno dei diversi procedimenti amministrativi che hanno visto l’Associazione Assalam di Cantù impegnata per far valere il proprio diritto di culto ma anche il proprio diritto alla tutela della proprietà privata per quanto riguarda il capannone.
L’avvocato Andrea Mensi, legale dell’associazione per quanto riguarda il ricorso alla CEDU ci spiega: “In particolare il ricorso ha avuto origine dalla sentenza del Consiglio di Stato del 2021 (sentenza n.5.437/2021), con cui il Consiglio di Stato riteneva legittimi alcuni provvedimenti amministrativi adottati dal Comune di Cantù che preannunciavano l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale del famoso fabbricato in via Milano. Con la sentenza del Consiglio di Stato in termine tecnico si dice che si esauriscono i rimedi interni, quindi Assalam non poteva più espletare alcun ricorso di fronte ai giudici italiani e la sentenza diventava definitiva.”
Nel momento in cui una sentenza diviene definitiva, è possibile fare ricorso in una sede europea e nel caso dell’Associazione Assalam la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo rappresentava un’ultima possibilità per far valere i propri diritti. Nella sede della Corte il ricorrente fa valere una possibile violazione di una o più disposizioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: nel caso di Assalam i diritti lesi sarebbero il diritto di culto ma anche il diritto alla proprietà privata.
“Noi in particolare abbiamo denunciato una violazione dell’articolo 9, che riguarda appunto la libertà di culto e di accesso ai luoghi di culto, una violazione dell’articolo 14, in materia divieto di discriminazione su base religiosa, e una violazione dell’articolo 1, che riguarda il diritto di proprietà privata.”
Il 2 febbraio 2023 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha emesso un provvedimento che ritiene ammissibile il ricorso dell’Associazione Assalam.
“Si tratta di un risultato molto importante” spiega l’avvocato Mensi, “perché il 95% dei ricorsi che vengono presentati ogni anno alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, quindi parliamo di decine di migliaia, si fermano a questa fase e non superano questo scoglio di ammissibilità”. Questo significa, oltre al fatto che sono stati soddisfatti tutti i requisiti tecnici, che la Corte Europea ha ritenuto che ci sia un sospetto di violazione.
“Questo è ancora più chiaro perché il nostro ricorso è stato accompagnato, nella comunicazione allo Stato italiano, da una serie di domande che sono state fatte in maniera molto puntuale per chiedere delucidazioni su quello che è avvenuto a Cantù. E questo è sicuramente stato un aspetto molto positivo perché ci ha fatto capire che la Corte ha ritenuto il nostro ricorso molto serio.”
Cosa succederà adesso?
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in questa comunicazione del 2 di febbraio ha dato tempo sia da Assalam che allo Stato italiano fino al 30 di aprile per cercare una soluzione pacifica della controversia, trovando un accordo.
Ad oggi non si vedono accordi all’orizzonte. Se questo continuerà fino al 30 di aprile starà alla Corte stabilire se violazioni siano effettivamente avvenute
Articolo: Clara Latorraca
Editing: Tommaso Siviero