Marsiglia contro l’estrema destra – Non abbiamo perso finché lottiamo

I cinque principali sindacati francesi hanno chiamato sabato 15 e domenica 16 giugno a manifestare in tutta la Francia per opporsi al montare dell’estrema destra. Noi siamo stati a Marsiglia il 15, dove, tra il Vieux Port e la piazza della Joliette, abbiamo raccolto alcune voci dal corteo.

Cosa succede in Francia?

La sera di domenica 10 giugno, quando i risultati delle elezioni europee cominciavano ormai ad essere chiari, Emmanuel Macron ha deciso di fare un discorso alla nazione. Con il partito di estrema destra Rassemblement National (RN) guidato da Marine Le Pen e Jordan Bardella al 31,4% e la coalizione di Macron Besoin d’Europe ad appena il 14,6 %, il presidente della Repubblica, incassata la sconfitta, ha annunciato a sorpresa lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e la convocazione di nuove elezioni a distanza di tre settimane. Si voterà infatti il 30 giugno per il primo turno delle legislative, che sarà seguito una settimana dopo, il 7 luglio, dai ballottaggi tra i candidati che saranno arrivati in testa in ognuno dei 577 collegi uninominali in cui l’esagono e i territori d’oltremare sono divisi dalla legge elettorale.

La forma di governo vigente in Francia dalla promulgazione della nuova costituzione del 1958 promossa da Charles De Gaulle, che ha dato inizio alla cosiddetta Quinta Repubblica, è quella della repubblica semipresidenziale

Questo vuol dire che il potere esecutivo è in mano sia al presidente della Repubblica, che nomina il Primo ministro, è a capo delle forze armate, promulga le leggi, può sottoporre dei referendum, può sciogliere l’Assemblea nazionale, firma le ordinanze ed i decreti deliberati in Consiglio dei Ministri e attribuisce le cariche civili e militari dello Stato; sia al Primo ministro, che dirige la politica nazionale ed è responsabile davanti al parlamento, composto dall’Assemblea nazionale e dal Senato.

Dal 1962 l’elezione del presidente della Repubblica avviene a suffragio universale diretto, come già previsto per l’elezione dell’Assemblea nazionale, la camera bassa del parlamento (il Senato, la camera alta, è soggetto a un suffragio indiretto e a un rinnovo per metà ogni tre anni). 

Il sistema elettorale francese prevede che le elezioni presidenziali e le elezioni legislative siano separate. Entrambe prevedono un sistema maggioritario a doppio turno con ballottaggio, ma con alcune differenze. Nel caso delle elezioni presidenziali, se nessun candidato arriva a una maggioranza assoluta al primo turno, si profila un ballottaggio con una sfida tra i due candidati più votati. Per quanto riguarda le elezioni legislative, invece, i 577 seggi all’Assemblea nazionale corrispondono ad altrettanti distretti o collegi uninominali in cui è diviso tutto il territorio francese. Per essere eletti al primo turno è necessario avere una maggioranza assoluta di almeno il 25% degli aventi diritto. In caso contrario, vanno al ballottaggio tutti i candidati che al primo turno hanno raggiunto almeno il 12,5% dei consensi, cosa che non esclude ballottaggi con più di due candidati, anche se poco probabili. 

Nel caso in cui vi siano una maggioranza parlamentare che esprime un primo ministro e un governo di un partito e un presidente di un altro si parla di coabitazione, che è quello che potrebbe succedere qualora il Rassemblement National e il suo presidente Bardella o un esponente del Nouveau Front Populaire dovessero raggiungere la maggioranza assoluta alle elezioni legislative e arrivare alla residenza del primo ministro dell’Hotel di Matignon con Macron all’Eliseo. L’ultima coabitazione è stata quella tra il 1997 e il 2002 tra il primo ministro socialista Lionel Jospin e il presidente della Repubblica gollista di centrodestra Jacques Chirac.

La mossa di Macron ha causato un terremoto nella politica francese, che ha cominciato a riconfigurarsi molto velocemente.

A destra, la tentazione di poter arrivare ad esprimere una maggioranza parlamentare, e quindi un governo, ha portato Marion Maréchal, nipote di Le Pen e capolista alle europee del partito Reconquete! del giornalista di estrema destra Éric Zemmour, a dare indicazione di voto per l’RN, e a rompere così con il presidente del partito che ha deciso invece di presentarsi in 330 collegi. Una mossa, quella di Maréchal, analoga a quella del presidente di Les Républicaines, Eric Ciotti, che dopo aver dichiarato di aver finalizzato un accordo con Le Pen è stato accusato di aver tradito il tradizionale antifascismo gollista e quindi espulso dal partito. La situazione rimane incerta, comunque, perché Ciotti si è rivolto a un tribunale di Parigi che ha dichiarato illegittima la sua espulsione.

A sinistra, invece, la decisione di Macron ha portato a un esito inaspettato. A soli quattro giorni dalle elezioni e dopo una campagna elettorale per le europee fatta di forti recriminazioni reciproche, le principali formazioni di sinistra (La France Insoumise, Les Écologistes, Parti Communiste Français e Parti Socialiste) e altri partiti minori hanno dichiarato di essersi accordati sulla presentazione di candidature uniche e di un programma comune di forte rottura con le politiche economiche e sociali di Macron. Il nome scelto è stato Nouveau Front Populaire (NFP), Nuovo Fronte Popolare, un chiaro riferimento alla coalizione che portò il socialista Léon Blum al governo del paese nel 1936. L’accordo ha tenuto conto del riequilibrio di forze, dopo che la coalizione tra i socialisti e il movimento cittadino Place Publique guidata da Raphaël Glucksmann è arrivata al 13,83% allo scrutinio europeo, seguita dal 9,89% della radicale France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon e Manon Aubry.

Il tentativo è riprodurre l’esperimento della Nouvelle Union Populaire Écologique et Social – NUPES, che alle presidenziali del 2022, mettendo insieme tutte le forze di sinistra capitanate dal leader degli insoumis Mélenchon, era arrivata a un soffio dal ballottaggio con Macron, ma che si è poi disgregata a causa di forti tensioni su alcuni temi, l’Ucraina e il genocidio a Gaza su tutti. Tensioni e divisioni che, soprattutto per quanto riguarda La France Insoumise, non hanno smesso di tenere banco. Prima con le esclusioni dalla lista dei candidati comuni di sei deputati uscenti in disaccordo con la linea del leader, ritenuta verticistica e settaria, alcuni dei quali hanno comunque deciso di presentarsi nei loro collegi come legittimi rappresentanti del NFP e quindi in alternativa alle figure indicate dal loro partito. Poi con lo scandalo dell’assegnazione di un distretto al fedelissimo di Mélenchon condannato per violenza coniugale Adrien Quatennens, che ha deciso di rinunciare a seguito delle forti critiche provenienti soprattutto dal mondo femminista. Due episodi che rischiano di gettare ombre sulla retorica dell’unità.

In quello che è a tutti gli effetti una chiarificazione tripolare del campo politico, in un centro spostato sempre più a destra rimangono il partito Renaissance del presidente della Repubblica, che ha cominciato ad adottare una retorica da opposti estremismi mettendo sullo stesso piano gli altri due blocchi, e i gollisti dei Républicaines che non hanno seguito la linea di Ciotti. Sono due famiglie politiche che, però, presentando candidature separate e insidiate sia da una sinistra unita che da Le Pen, rischiano di vedere il loro peso all’Assemblea molto ridimensionato, per non dire stravolto.

Le voci da Marsiglia

Dalla piazza del 15 giugno di Marsiglia, parte della mobilitazione lanciata dai sindacati in tutta la Francia contro l’estrema destra, qualche parere sembra riconoscere il rischio di divisioni interne alla sinistra. Come quello di Noëlle, militante comunista, che dice “non mi faccio alcuna illusione, ma bisognava fare il Fronte Popolare, è una buona cosa”, o di Emma che afferma “spero che non ci saranno, è quello che speriamo tutti”. Rimane forte il senso di doversi mettere insieme per contrastare l’RN, considerato da Natan, esponente del movimento Place Publique di Glucksmann, una minaccia per i diritti delle donne, e da Marie degli Écologistes un partito che “come Meloni in Italia potrebbe cancellare tutto quello che abbiamo costruito negli ultimi cinquant’anni”. 

Un parere condiviso da Cyrille, sindacalista della Confédération Générale du Travail (CGT), che parla di “guerra civile” in caso di un governo Bardella. Ma emerge anche molta speranza dalle sue parole, come quando sostiene che Macron abbia agito in questo modo perché non aveva calcolato che la sinistra si sarebbe riunita “su un vero programma radicale” che può portare a una vittoria che sia “esempio per l’Italia, la Spagna e il resto dell’Europa”. E anche Yves, comunista, è della stessa linea: “finché non abbiamo finito di batterci non abbiamo perso”.

Riccardo Soriano
Editing: Daniele Molteni
Video: Riccardo Soriano